(A cura del Dott. Valerio Martinelli – Cultore della materia del diritto del lavoro)
La sentenza in esame affronta la questione della responsabilità per un evento lesivo ai danni del lavoratore determinato da prassi incaute ed elusive della normativa sulla sicurezza sul lavoro.
La Corte è chiamata a decidere sul ricorso presentato dal responsabile di un supermercato, nella sua qualità di “preposto di fatto” per la momentanea assenza del capo reparto, che si è visto condannare, in primo e secondo grado, per le lesioni colpose generate dall’infortunio occorso ad un dipendente addetto al reparto macelleria. Nello specifico, il “preposto di fatto” era stato dichiarato responsabile perché “in violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro (art. 19, c. 1, lett. a D.Lgs. 81/08) non aveva provveduto a sovrintendere e vigilare affinché un dipendente utilizzasse i mezzi di protezione collettivi di una macchina sega-ossi in conformità alle istruzioni d’uso del fabbricante”.
Con due motivi di doglianza, il ricorrente affermava, in primis, che l’attribuzione di responsabilità mossa nei suoi confronti era “unicamente oggettiva, in considerazione del mero ruolo da lui rivestito di direttore del punto vendita” non essendo emerso in quali termini egli avrebbe violato l’art. 19 D.Lgs. 81/08 e precisando che lo stesso aveva assunto l’incarico di responsabile del punto vendita soltanto cinque giorni prima dell’infortunio. In secundis, il ricorrente evidenziava che il ruolo di direttore/responsabile del supermercato escludeva che egli potesse avere contezza della lavorazione svolta in ogni singolo reparto del supermercato, “al quale risulta preposta la figura del capo reparto” che, nel caso in esame, non aveva mai segnalato al medesimo il mancato utilizzo dei presidi di protezione.
Giova richiamare quanto disposto dall’art. 19, c. 1, lett. a) D.Lgs. 81/08 che individua tra gli obblighi posti a carico del preposto quello di “sovrintendere e vigilare sulla osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione e, in caso di persistenza della inosservanza, informare i loro superiori diretti”.
La Suprema Corte, in linea con quanto disposto in una precedente sentenza[1], ha accolto il ricorso, disponendo che “la veste di “preposto di fatto” che il giudice di appello attribuisce” al responsabile del punto vendita, attesa l’assenza per ferie del capo reparto specifico, “non costituisce di per sé prova né della conoscenza né della conoscibilità, da parte di quest’ultimo, di prassi comportamentali, più o meno ricorrenti, contrarie alle disposizioni in materia antinfortunistica. È pur vero che il preposto è soggetto agli obblighi di cui al citato art. 19 d.lgs. 81/2008, ma un’eventuale condotta omissiva al riguardo non può essergli ascritta laddove non si abbia la certezza che egli fosse a conoscenza della prassi elusiva o che l’avesse colposamente ignorata. Tale certezza può, in alcuni casi, inferirsi da considerazioni di natura logica, laddove, ad esempio, possa ritenersi che la prassi elusiva costituisca univocamente frutto di una scelta aziendale, finalizzata, in ipotesi, ad una maggiore produttività. Ma quando, come in questo caso, non vi siano elementi di carattere logico per dedurre la conoscenza o la conoscibilità di prassi aziendali incaute da parte del garante – che, nel caso in esame, proprio perché preposto non vantava uno specifico interesse al riguardo – è necessaria l’acquisizione di elementi probatori certi ed oggettivi che dimostrino tale conoscenza o conoscibilità. Diversamente opinando, si porrebbe in capo alla figura che riveste una posizione di garanzia una inaccettabile responsabilità penale “di posizione”, tale da sconfinare nella responsabilità oggettiva”.
(Cass. pen., sez. IV, n. 1096 del 13.01.2021)
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[4] Cfr. Cass. pen. sez. IV n. 36778 del 21.12.2020.