(A cura del Dott. Valerio Martinelli – Cultore della materia del diritto del lavoro)

La sentenza in esame ha ad oggetto il ricorso per cassazione presentato dalla parte civile avverso la sentenza della Corte d’Appello con cui si assolveva il responsabile del reparto falegnameria di una grande azienda di distribuzione dal reato di lesioni colpose, aggravato dalla violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro.

Il sinistro aveva coinvolto un lavoratore durante le operazioni di collocazione della merce su apposito espositore metallico, operazione che era stata eseguita da quest’ultimo senza l’utilizzo del mezzo solitamente impiegato per la movimentazione della merce in quota (muletto o elevatore) in quanto, al momento, non disponibile ma attraverso una scala a libro. Durante detta attività il lavoratore cadeva a terra procurandosi delle lesioni. All’imputato veniva addebitato, nella sua qualità di responsabile di reparto, di aver omesso di sovrintendere e vigilare sull’osservanza delle disposizioni aziendali sull’uso dei mezzi di protezione individuali e collettivi a disposizione.

Prima di passare ad esaminare la pronuncia della Suprema Corte, risultano utili alcuni richiami normativi:

  • 19, comma 1, lett. a) secondo cui i preposti, secondo le loro attribuzioni e competenze, devono “sovrintendere e vigilare sulla osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione e, in caso di persistenza della inosservanza, informare i loro superiori diretti”.
  • 17, comma 1, lett. a) D.lgs. 81/2008 che prevede il divieto per il datore di lavoro di delegare “la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto dall’articolo 28”.
  • 28 D.lgs. 81/2008 il quale disciplina, nel dettaglio, il documento di analisi dei rischi, tra cui al comma 2, lett. b) “l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati”.

L’analisi della Suprema Corte prende avvio da una constatazione: “la verifica del nesso causale (..) è stata condotta dalla corte territoriale in maniera giuridicamente non corretta (..). La Corte, infatti, ha ritenuto accertata la qualità di preposto dell’imputato ma non vi ha ricondotto gli obblighi propri di quella posizione (..)”. A fronte di quanto stabilito dall’art. 19 D.lgs. 81/2008 e da quanto emerso dalle risultanze istruttorie[1], prosegue la Corte, i giudici di secondo grado hanno, da un lato, affermato l’equivalenza dei due strumenti (elevatore/muletto e scala a libro) e, dall’altro, hanno attribuito ad una scelta “improvvida” del lavoratore l’accesso alla scaffalatura, per raggiungere la quota di lavoro, con una scala a libro.

La Corte, pertanto, richiama un consolidato principio in tema di individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse secondo cui è necessario individuare il soggetto deputato alla gestione del rischio, il quale sarà il preposto se l’infortunio attiene alla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, il dirigente se riconducibile al dettaglio dell’organizzazione dell’attività lavorativa e il datore di lavoro se derivante da scelte gestionali di fondo[2].

Alla luce del principio sopra richiamato, la Suprema Corte ha rilevato che “l’obbligo del preposto andava commisurato alla previsione del documento di valutazione dei rischi (..) circa l’utilizzo di appositi presidi per la esecuzione dei lavori in quota, una volta accertato che (..) era stata certamente utilizzata una scala a libro in luogo di un elevatore (..)”. Così facendo, sottolinea la Suprema Corte, i giudici di secondo grado “hanno trascurato, da un lato, la centralità del documento di valutazione dei rischi, vero e proprio statuto della sicurezza aziendale (..) e dall’altro il contenuto dell’addebito” mosso all’imputato.

Da ultimo, in merito alla condotta del lavoratore, la Suprema Corte precisa che essa può ritenersi “abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta contestata al garante e l’evento lesivo, non tanto ove sia imprevedibile quanto piuttosto ove sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante la sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia[3]. Carattere la cui sussistenza è stata esclusa dalla Suprema Corte alla stregua della ricostruzione della dinamica del sinistro de quo.

La Corte, pertanto, ha accolto il ricorso limitatamente alle statuizioni civile e rinviato al giudice civile competente.

(Cass. sez. IV pen. n. 22271 del 08.06.2021)

 

[1] L’istruttoria aveva evidenziato che durante l’operazione di collocazione della merce non era stato usato il presidio previsto (muletto o elevatore) perché al momento in uso in un altro reparto ma una ordinaria scala a libro che non raggiungeva l’altezza del piano di lavoro.

[2] Cfr. Cass. pen., sez. IV, sent. n. 22606/2017.

[3] Cfr. Cass. pen. sez. IV sent. n. 5007/2018 e Cass. pen. sez. IV sent. n. 15124/2016.

(Cass. sez. IV pen. n. 21517 del 01.06.2021)

 

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